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Il Mattino – L’attualità dell’Ulisse di Paolini Il presente è un racconto epico

L’attore in scena con il nuovo spettacolo per la regia di Gabriele Vacis racconta il viaggio per eccellenza in cui si specchiano tutti quelli successivi

VERONA. Prima o poi doveva succedere che si incontrassero. Il grande racconto dell’antichità e il raccontatore moderno, Marco Paolini, che presta la sua voce per ripetere, una volta di più, la storia di Ulisse, il suo lungo viaggiare in cui si specchiano tutti i viaggi successivi.

Si intitola “Il calzolaio di Ulisse”, il nuovo spettacolo di Marco Paolini e la prima nazionale è andata in scena al Teatro Romano di Verona, a inaugurare l’ Estate Teatrale. Per molti versi il racconto che Paolini fa sul palco è fedele al poema omerico, anzi ai poemi, perché inserisce anche una parte di Iliade: per altri versi è il completamento di un percorso di rilettura che ha già visto l’attore cimentarsi, negli ultimi anni, con momenti dell’epopea di Ulisse spesso contaminati con l’oggi. E la convivenza tra questi due aspetti è la struttura del nuovo spettacolo, che si avvale della regia di Gabriele Vacis e della presenza in scena di Lorenzo Monguzzi alla chitarra, della straordinaria Saba Anglana alla voce, e del giovanissimo Vittorio Cerroni.

Paolini racconta storie note: il cavallo di Troia, la presa della città, Polifemo, la maga Circe, il ritorno a Itaca. Le racconta perché sono archetipi immodificabili, ma anche perché dentro ci può stare, proprio perché sono archetipi, anche il presente, per cui non sembra spurio immaginare uno sbarco a Pozzallo, o un Telemaco molto social.

Il passato è presente. Non è banale attualizzazione, è ricordare che quella storia siamo noi, si ripete sempre in forme diverse, è l’origine del mondo che ci circonda, è la nostra eredità, che deve essere sempre ricordata e cantata. La scommessa più difficile è quella del punto di vista. Come raccontare il già raccontato. Paolini, con Francesco Niccolini che è tornato ad affiancarlo nella scrittura, ha pensato a un Ulisse più vecchio, che vaga per il mondo spacciandosi per “il calzolaio di Ulisse”, e percorre il sentiero per l’Olimpo. Non ha più voglia di ricordare il sangue, la guerra, le sue colpe imperdonabili. Ma contemporaneamente, come i testimoni della shoah, sa che non può sottrarsi se un adolescente gli chiede di raccontare ancora, ancora una volta. Ecco perché non c’è un attore a fianco di Paolini, ma un ragazzo, con la sua voce teatralmente poco educata e dissonante. Ecco perché non c’è remora nel regalare a questo Ulisse l’intonazione veneta, spesso il dialetto anche se ricreato. È un racconto epico, che non disdegna gli abbassamenti comici di tono tipici di Paolini, ma trova la sua chiave di volta in una percezione angosciata dell’oggi, esattamente come il precedente “Numero primo”.

Archeologia e fantascienza in questo senso si saldano: a raccontare un mondo che tende a perdere se stesso.

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