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Libertà – Con Paolini Galileo disinnesca la mina delle false certezze

Raccontare una rivoluzione, un secolo che ha rivoltato il modo di vedere il mondo. Raccontare di uomini che hanno avuto il coraggio di mettere in moto la Terra e di scuotere le idee giudicate sino

ad allora indubitabili. Non facile la sfida che Marco Paolini si è posto con il suo nuovo spettacolo Itis Galileo, proposto lunedì e ieri sera al Teatro Municipale, per la stagione di prosa Tre per Te. Il grande autore-attore veneto non delude e vince la sfida, accompagnando il pubblico (molti i giovani e gli studenti) in un viaggio di 200mila chilometri, ovvero poco meno di due ore (tanta la distanza che compie la Terra nel suo moto attorno al sole nell’arco di quel tempo).

Paolini si trova davanti un pubblico che lo ha scelto, quello che è ormai affezionato alle proposte che porta sovente al Municipale di Piacenza (l’anno scorso fu I Miserabili, qualche anno prima Il sergente). Questa volta prova a raccontare Galileo; non la sua emblematica biografia di scienziato alla maniera di Brecht, bensì ciò che Galileo dice a noi oggi, nella nostra “lingua madre”. Un oggi, in cui magari per molti Galileo rimane solo il nome di un istituto scolastico (da cui il titolo ITIS Galileo). Così – per far capire che si tratterà della materia senza badare alle distinzioni tra alta o bassa cultura – Paolini scalda il pubblico con una delle sue performance interattive. Sta sul proscenio, a sipario chiuso, al suo fianco pochi oggetti, a preannunciare la bella scenografia, su cui dominerà una mina vagante come un pianeta errante.

Durante il prologo, le luci in sala non sono ancora spente. La luce della ragione scomoda tutti quanti, sulle loro poltroncine di velluto. Paolini interroga la platea e scomoda un personaggio seduto in prima fila. Breve ripasso del sistema aristotelico tolemaico e la rivoluzione può cominciare. Sull’ambiguità del termine “rivoluzione” Paolini gioca anche nell’incipit: «Un minuto di rivoluzione », proclama, attendendo in silenzio le reazioni del pubblico. L’istinto è quello di inneggiare alla rivolta, ma Paolini rivela trattasi di moto di rivoluzione attorno al Sole. Sipario.

Si apre sul secolo decimosettimo. Il Seicento di Galileo ma anche di Shakespeare. Entrambi nati nel 1564. Data che Paolini scrive col gessetto, un po’ professore, un po’ attore. L’ottimo attore li veste entrambi i panni di Galileo e di Shakespeare. Per far Galileo, si lega addosso un grembiulaccio di cuoio da garzone di bottega. I colti sono avvertiti: Galileo è un meccanico, uno che si sporca le mani, che si costruisce il cannone occhiale. È il primo precario dell’università, è un genio senza laurea. È pure un po’ “sborone” nella sua ambizione di insegnar a tutti quanti la nuova maniera di intendere la filosofia della natura. Democratizzare il sapere. Questo è il vero atto rivoluzionario: chiunque può inforcare il cannocchiale e puntarlo al cielo.

Il Dialogo sopra i due massimi sistemi, apparso all’inizio solo come un libro, prende vita e diventa «un canovaccio esplosivo e irriverente» per una scena da Commedia dell’Arte in cui Paolini dà il meglio di sé. Indossa la maschera, a ricordarci che nel Seicento non nasceva solo la rivoluzione astronomica ma pure la professione d’attore e il teatro come mestiere. Paolini recupera così anche il suo mestiere del teatro, formatosi alla scuola di Dario Fo, del suo linguaggio vivo.

In Fo era il Grammelot di derivazione padana, in Paolini è la lingua veneta. Paolini la utilizza nel dipingere con le parole l’esperimento mentale della nave in movimento che permette a Galileo di confutare le tesi degli Scolastici; e poi per far proprio il bellissimo passo in cui Amleto si chiede, dinnanzi a Rosencrantz e Guildenstern, se «questa bella struttura, la Terra», non sia invece «un promontorio senza vita», e «questo stupendo baldacchino, il Cielo», non sia «un odiato pestilenziale ammasso di vapori ».

Testo ben calibrato, ITIS Galileo (scritto da Paolini con Francesco Niccolini) si confronta con il tema della debolezza di un pensiero che si arrende e smette di volare.

Lo spettacolo alterna momenti teatrali ad altri volutamente più didascalici. Noi preferiamo il Paolini senza leggio. Lo preferiamo quando abbandona i fogli scritti e inforca la mina-cosmo sulle note della Quinta di Beethoven.

Donata Meneghelli

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