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L’uomo che springava i orti

È solo un sogno. Dopo il temporale. Saliamo allegri tagliando le curve, finiscono i tornanti e c’è il belvedere. Spegniamo la moto: “Da qua una volta vedevi tutto a capannoni e villette”
Il figlio della Norma mi guarda poco convinto, il giro in moto gli è piaciuto ma non vuole farsi ‘cojonare’ da un vecchio.
Là, sotto l’altipiano si stende fino all’orizzonte un rigoglioso giardino colorato, l’aria è limpida dopo la pioggia.
Com’è cominciata? Con un temporale, si comincia sempre con un temporale.
Si giocava a ‘s-ciopasconderse’ in orto e ‘tacò’ a piovere, una gran acqua che allora succedeva spesso, siamo scappati tutti, meno Piaretto.
A casa si son accorti che ne mancava uno e sotto la ‘piova’ sono usciti a cercarlo.
C’erano i lampi da paura, c’era vento e c’era tempesta, ma Piaretto no non c’era, lo chiamavano non veniva.
L’han trovato un ora dopo che dormiva sotto una zucca.
Strano vero? Di solito i bambini si trova sotto i cavoli, lui no, sotto una zucca!
Da quella volta ogni volta che mancava, lo recuperavano in orto. Gli piaceva specialmente ‘springare’. Gli hanno insegnato a ‘tacare’ la pompa del pozzo che aveva cinque anni, forse sei, gli altri bambini guidava il trattore, tirava ‘baloni’, serviva messa, lui ‘springava’. Andava fare il giro degli orti, a chiedere se lo lasciavano ‘springare’.
Lo chiamavano Polesine, perché ‘negava’ la terra. Poi ha imparato il segreto. Sapeva quanta acqua vuole le verze, quanta le patate e i pomodori, quanti e come per le erbette rosse. Lo chiamavano a salvare i fagioli rachitici e li faceva tornare su. E’ cresciuto con l’orto negli occhi. A scuola non era tanto bravo, e siccome l’orto non era un mestiere, e i suoi non avevano campi, è andato operaio alla fabbrica dei trattori. Dietro la fabbrica c’era un terreno, lungo la mura, coperto da montagne di ‘rovinassi’: fece domanda alla direzione per impiantarci un orto.
Cavava su copertoni, latte di vernice scaduta, ‘piere’ e mattoni; vangava e seminava, per primo prezzemolo poi il resto.
Poco alla volta il terreno si liberava, i ‘rovinassi’ andava via un po’ alla volta ma non finiva mai. Finché gli mandarono un camion che in sei viaggi tirò via tutto.
Erano ventiquattro ‘vanese’ in fila, con le rose, le fragole e le bocche di leone. All’inizio gli operai piluccavano, poi decisamente rubavano, lui non si arrabbiava con nessuno, però ‘cavava su’ e vangava, dopo ogni furto restava una ‘vanesa’ vuota come una protesta muta. Così hanno imparato a chiedergli prima, e lui regalava volentieri perché l’orto ne fa sempre più di quello che ti serve. E’ cresciuto l’orto di Piaretto, aveva ‘perari’, ‘figheri’ e naturalmente delle zucche, grandi come trattori. Ogni tanto qualcuno provava ad aiutarlo, ma lui non incoraggiava, si vedeva che ci teneva a far da solo. Era bello da vedere come un giardino, di più…
Era più bello dietro alla fabbrica che davanti. Così siccome davanti tra la strada e il parcheggio c’era una striscia di prato con una siepe schinchenica, dalla direzione gli hanno domandato se voleva… se poteva… insomma, occuparsene senza impegno, a gratis…
Ha lavorato alla fabbrica ventiquattro anni e ha sempre curato l’orto. All’inizio dalla strada si vedeva tutto della fabbrica, poi sempre meno, non era un bosco e non era un giardino, era l’orto di Piaretto.
A un certo punto si sono anche stufati. Aveva messo giù ‘morari’, e un ciliegio, una pergola di fragola che sotto passava i camion all’ingresso.
E’ cambiata la direzione e quelli nuovi non gradivano.
Le foglie che casca d’autunno fa ‘pocio’, fa sporco, fa brutto l’ingresso, perché non si limita ai fiori e a qualche pino sempre verde come fa tutti nei giardini.
Hanno minacciato di fargli ‘cavare’ via tutto.
Allora Piaretto si è messo a segare, aveva già pelato il ciliegio dai rami, era ‘nudo in camisa’ brutto come i platani potati a colonna lungo le strade, e toccava ai ‘morari’, ai ‘roseri’, quando c’è stata la rivolta che è diventata famosa come lo sciopero delle foglie: c’era tutta la fabbrica a picchettare l’uva fragola all’ingresso.
Hanno vinto tutti, l’accordo siglato tra consiglio di fabbrica e direzione: L’orto non si tocca. Ogni mattina e ogni sera d’autunno, due per turno, andavano a ‘tirar su’ le foglie, e il ciliegio rifiorì.
“Dov’è la fabbrica? “Mi fa il figlio della Norma.
Non c’è più, è fallita. Quei trattori così non servivano più, non c’era abbastanza campagna e duemilacinquecento operai a spasso.
“E l’orto?”
Distrutto con la fabbrica, era la sotto ma è cambiato tutto, si fa fatica a dire dove.
E’ stato allora che è cambiato in pochi anni il paesaggio, finché c’era la fabbrica non si impiantava altro, non c’era manodopera. Poi in pochi anni era una selva di capannoni, almeno duemilacinquecento e altrettante villette.
“Ma dove?”
Sono lì, lì, lì, sotto le ‘albere’, i rampicanti di gelsomino, se guardi bene, di ‘vite mericane’, in mezzo a ‘pomi grani’ e magnolie, in mezzo quei filarini di pioppi e di cipressi, sotto i giardini pensili di zucche e rose, ‘erba spagna’, li vedi i capannoni ma non li vedi. Se c’è una roba che questi qua sanno fare da Dio è coltivare il suo orto, farlo vivere.
Bastava mettere a frutto il principio, arrivarono da fuori a studiare la soluzione.
“Ma come avete fatto?”
“Che paesaggio pittoresco”
Mah… ha cominciato uno alla Laverda, tanti anni fa, e i altri l’hanno seguito.
“Ma chi, ma come?”
Uno che ‘springava i orti’, un certo Piaretto detto Polesine.

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