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Intervista con Marco Paolini. “Il conto degli dei al mio Ulisse reduce ribelle”

Non sono tempi che hanno bisogno di eroi: e infatti non è l'eroe del nostòs, del ritorno a casa, questo Ulisse di Marco Paolini. E' l'uomo. Un uomo "che si è compromesso con le sue azioni, che si è macchiato d'infamia. Un reduce, in fondo: si è inimicato tutti gli dèi, e loro hanno deciso di presentare il conto un'altra volta a questo ribelle, che ormai è una mina vagante".
Lo sguardo acuminato di Paolini punta ancora una volta sul personaggio di Odisseo, esplorato già nel 2003 nel sito archeologico di Carsulae, dove sperimentò nuove chiavi di lettura. Stasera alle 20.30, fino al 3 novembre al Teatro della Corte, in Nel tempo degli dei -Il calzolaio di Ulisse, scritto con Francesco Niccolini, regia di Gabriele Vacis, la messa a fuoco è sulla Terra, "il parco giochi delle divinità, del quale noi siamo l'attrazione".
Paolini sorride: "Lo so, Omero raccontato così sembra scandaloso".

Questo Ulisse è quello del dopo: quando l'Odissea finisce. Come mai questo punto dl partenza?
«Proprio così: e da qui, inventiamo. Ulisse si ritrova con gli dei che hanno di nuovo deciso di occuparsi di lui, unico sopravvissuto della stirpe degli eroi. Lui ha litigato con Atena, si è inimicato Poseidone, ha fatto perdere la pazienza a Zeus: per astuzia, per disobbedienza. L'Ulisse che mi piace raccontare non ha più, apparentemente, il senso della misura: troppi orrori sono passati davanti ai suoi occhi. Ecco, se nel testo scritto allora, un'opera pop, necessariamente breve, avevo omesso la presenza degli dèi, qui cambia il fuoco: gli dèi diventano una presenza costante, proprio come lo sono nel testo omerico. E io sento il bisogno di parlare di uomini, non di eroi, in un momento in cui le scoperte tecnologiche del nostro tempo mettono in discussione i limiti stessi dell'umano. Ma il punto è che noi, in realtà, siamo molto più vicini agli dèi, e più lontani dagli ultimi».

In che senso?
«Le loro odissee entrano nelle nostre vite solo se scegliamo di farle entrare, magari attraverso la foto di un bambino annegato: ma per noi, molto più spesso, restano numeri sullo sfondo, ci riescono insopportabili. Attenzione, io questa nostra separatezza dalla realtà non la voglio criminalizzare, perché è veramente difficile tenere sempre accesa la spina dell'attenzione».

Nello spettacolo, quindi, ci sono riferimenti all'attualità?
«Nel mondo degli dèi omerici, così come nel nostro, il capriccio regna sovrano: l'Occidente appare come un Olimpo. Ma non vorrei che si fraintendesse: questo spettacolo non è un manifesto. La narrazione omerica viene rispettata, le pulsioni sono già dentro al testo, e a dire il vero non mi piacciono le letture strumentali. Il nostro accento, piuttosto, è sui nuovi confini che i ricchi stanno dando alle loro esistenze. Però, niente lezioncine col dito alzato: ma storie».

Quale può essere, in questi tempi, la funzione del teatro?
«Il teatro deve essere per me un grande rallentatore di idee. Proprio mentre si invocano accelerazioni, in molti campi, servono momenti in cui si cambia ritmo, si respira. Il teatro non deve competere con i media, che sono un frullatore: è un medium anacronistico, la sua funzione è frenare il tempo. Mettere in connessione le nostre idee con il nostro agire. Con questo non voglio dire che la tecnologia sia il male, siamo in una fase di trasformazione. E so che le sirene dell'immortalità rappresentano settori economici interessanti: non credo che sia giusto ostacolare la ricerca, ma dal punto di vista culturale rivendico che nessuna scelta possa essere fatta senza essere bilanciata da altri contrappesi. Credo nella potenza di uno spettacolo live: crea reti fisiche tra le persone. Se poi sul palco c'è un artista come Springsteen... ho ancora il ricordo del concerto a Marassi: indimenticabile».

Il teatro come un concerto di Springsteen. «Il live avvicina di nuovo il cervello al cuore. Il palco di un teatro è diverso da quello di un concerto: ma anche qui l'onda di emozione deve transitare. Succede tutte le sere, regolarmente. Anche in questo spettacolo corale: dove c'è tanta musica, un coro, e la vicenda assume un andamento molto fisico, quasi danzato. Per me, poi, questa è la prima volta che torno a Genova dopo il ponte. Sarà un onore entrarci, in punta di piedi».

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