I “boomers” sono uomini e donne nati durante il boom demografico (tra il 1946 e il 1964), quelli che crescevano in termini di nascite, quelli che hanno avuto impatto pesante sul pianeta, che potevano modificare gli equilibri.
«Parto da qui: la spiegazione demografica non mi convince così come non mi convince la spiegazione del conflitto generazionale. Rispetto al presente, ci sono dei limiti».
Ossia?
«“Boomers” parla di un videogioco immersivo, di un mondo virtuale: resto in quel contesto, e mi pongo una domanda. Mi chiedo se non ci sia un uso retorico della memoria, per creare un mondo virtuale in cui una generazione continua a rifugiarsi, incapace di prendere atto del cambiamento. Il mondo di chi è giovane appare virtuale perché è diverso da quello delle generazioni precedenti, ma nello spettacolo è altrettanto virtuale il mondo delle nostalgie, dei rimpianti, cose che poi giustificano sovranismi, negazionismi, suprematismi, insomma, tutte quelle riflessioni di “pancia” che sono soltanto una riproposta di un mondo semplice, in cui non si devono affrontare le cose che abbiamo davanti. C’è sempre quest’idea che prima stavi meglio. Ma non è vero, era solo diverso».
E come lo affronta?
«L’idea dei Greci, quella in cui l’oro stava nel passato e il presente è piombo, è tipica di una società che ha paura. Io ne parlo in maniera leggera, faccio il ritratto di un’Italia di 50 anni, ma dal punto di vista dell’algoritmo che non ha rispetto per le gerarchie di valori, che mescola su tutto».
Quindi dove approdiamo?
«Viviamo in specie di frullatore, questo il prezzo che paghiamo per star dietro all’innovazione. Il cervello non digerisce. Ma questo prezzo non può essere imputato a chi adesso non ti capisce, ma va distribuito in una serie di errori che, in qualche modo, ci sono stati. Proviamo a leggerli adesso. Non punto il dito, sia chiaro, tratto questi temi con certa indulgenza, ma mi tolgo qualche soddisfazione».
Tipo?
«Non diciamolo adesso, roviniamo la sorpresa dello spettacolo. Ma se devo essere cattivo lo sono».
E Patrizia Laquidara?
«La collaborazione con Patrizia Laquidara nasce da un cortocircuito che avevo avuto, pensavo fosse necessario mescolare due linguaggi, il racconto e la canzone. Questo lavoro è andato a fuoco maturando la collaborazione, adesso ci sono dentro 5 canzoni originali che non c’erano un anno fa. Resta il gioco di usare citazioni e gingle, ma la colonna sonora è molto diversa, anzi, è diventata quasi più testo. E poi “Boomers” è l’unico album in cui al centro c’è una protagonista».
Le affida il palco?
«E’ sempre un mondo di maschi, ma “Boomers” ruota attorno alla Jole, una figura sfruttata, usata, maltrattata, ma lei è molto più forte di chi ha attorno. Ho immaginato il mondo in cui la donna che porta i pantaloni desta sospetti».
Bilancio del progetto Vajonts?
«È andato bene: alla chiamata c’è stata una risposta altissima e molto articolata, che facciamo ancora fatica a calcolare. Abbiamo chiesto di scriverci le storie di quello che è successo. E stiamo ancora raccogliendo, nessuno ha intenzione di fermarsi».
Questo sito utilizza cookie tecnici, analitici e di terze parti per le sue funzionalità. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie clicca qui Cookie Policy. Cliccando "Ok" su questo banner o proseguendo nella navigazione del sito acconsenti all'uso dei cookie.
Scegli a quali categorie di cookie dare il consenso. Clicca su "Salva impostazioni cookie" per confermare la tua scelta.
Scegli a quali categorie di cookie dare il consenso. Clicca su "Salva impostazioni cookie" per confermare la tua scelta.
Questo contenuto è bloccato. Per visualizzarlo devi accettare i cookie '%CC%'.