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RadioEco – Le avventure di Numero Primo

Continua il nostro viaggio nel teatro con lo spettacolo “le avventure di numero primo” di marco paolini e gianfranco bettin, in scena al teatro era.

Paolini è tornato a casa. Entra salutando, come a dire “ciao, ancora qui”. La sua lunga formazione nelle mura artistiche di Pontedera mette tutti in una situazione familiare, come vecchi parenti che si incontrano dopo lungo tempo, per una nuova festa insieme.

Paolini è casa. È il narratore per eccellenza. L’artista che ci ha insegnato, negli anni, che in teatro basta un corpo e una voce per poter creare un mondo che vive invisibile sul palco. Ci ha fatto sentire il fragore delle montagne che cadono nella diga del Vajont, andare in bicicletta nelle campagne venete, camminare nella neve con Rigoni Stern. Tutto rimanendo seduti sulle nostre poltroncine. È casa perché è decifrabile, esplicito, narratologico. È casa perché ti accoglie e con quella cantilena da Italia nordest ti abbraccia e ti porta con se dentro la storia, ti fa sentire sicuro e protetto.

Con “Le avventure di Numero Primo” Paolini ha deciso di uscire di casa. Ha deciso, adesso che “stiamo diventando coraggiosi” di abbandonare il porto sicuro e investire in un azzardo. Il nuovo testo, scritto insieme a Bettin, è un gesto di audacia che si stacca dalla narrazione a cui Paolini ci ha abituati e si muove  a pelo d’acqua verso il largo.

Ovviamente, come tutti noi, quando partiamo per terre lontane facciamo una piccola valigia delle cose indispensabili, delle nostre certezze. Mettiamo al suo interno ciò che sappiamo ci servirà. E così anche lui si porta nel nuovo lavoro la sua immensa capacità narrativa, che come un magnete attrae occhi ed orecchie. Mette nella sua valigia verso l’ignoto le parole, il ritmo, il gestuale. Pause e suoni. Sa che il pubblico ha bisogno di questi binari  per permettere al suo nuovo treno di viaggiare.

Paolini "Le Avventure di Numero Primo" - foto di Andrea SpinelliPaolini "Le Avventure di Numero Primo" - foto di Andrea Spinelli

Paolini “Le Avventure di Numero Primo” – foto di Andrea Spinelli

E così, pronti via. Si Comincia a raccontare la storia, la favola di Numero Primo e di Ettore. È una storia semplice, in apparenza, lineare. La storia di un uomo che diventa padre e di un figlio che impara a crescere e delle loro disavventure nel mondo. Un mondo di un futuro prossimo, immaginato e raccontato con immensa maestria. Ogni elemento della nostra realtà viene esaltato, in bene o in male, per creare questo futuro fatto della pioggia d Blade Runner intrisa dei fumi di Mestre. Stabilimenti che fabbricano neve, Venezia sempre bellissima, che resiste , un’aula di scuola elementare dove gli adulti in videochiamata discutono ancora se lo zingaro in questione abbia i pidocchi. Questo è il primo livello, è il livello della storia, che esiste di per sé. È Numero primo e il suo nuovo padre.

Poi però, durante lo spettacolo, la percezione che ci sia qualcosa dietro comincia ad insinuarsi come un tarlo e avvia un processo di smontaggio della metafora. La storia non può bastare di per sé. E allora comincia un turbinio di sensazioni, di emozioni che decodifica ogni singolo elemento e lo astrae dalla storia. Esempio massimo i nomi dei due personaggi: Ettore Achille, un nome ossimorico per il protagonista, ramingo ed eterno indeciso. Numero Primo, il coprotagonista, fermo, certo, il Nuovo Inizio. Primo sa rispondere agli indovinelli, impara le lingue molto velocemente, difende gli animali, ama le capre. Ma non sa che cadendo dai cornicioni si muore, che le api pungono fino ad uccidere. Ettore sa molte cose ma non sa di saperle. È in grado di innamorarsi di una voce, di accogliere uno sconosciuto di sei anni e farlo diventare la sua priorità. L’adulto, che non sa niente ma ha la responsabilità, il piccolo che sa tutto ma non ha esperienza. È così che Ettore capisce, che l’unica cosa che può fare è fidarsi. Di cedere alla mania del controllo che pervade gli adulti e semplicemente fidarsi di Primo, fino a farsi cantare da lui la ninnananna. Sempre un passo indietro ad osservare Primo andare nel mondo, come il nuovo Adamo di una nuova specie.

Paolini "Le Avventure di Numero Primo" - foto di Andrea Spinelli

Paolini “Le Avventure di Numero Primo” – foto di Andrea Spinelli

Lo spettacolo si chiude repentinamente, tra gabbiani, topi e turisti. Forse fin troppo velocemente, con una fretta che lascia tutti un po’ in sospeso.

La chiusura, però prevede un bis. Un momento di svelamento, in cui, forse, si manifesta un’insicurezza autoriale sulla comprensione del testo. Un bellissimo discorso a platea accesa sul senso vero dello spettacolo, celato sotto la trama della favola.

Un discorso emozionante, coraggioso e illuminato. Un discorso che mira a spiegare la metafora, come a dire: non era una storiella.  Si chiede al pubblico: “Rispondete ad una domanda: “verso la sbarra del Telepass, provate speranza o fiducia?”. Sta tutto qui, in questa domanda che fa ridere tutti i presenti, ma che contiene il profondissimo divario tra le generazioni e il loro rapporto inconscio con la tecnologia. La sola speranza non basta, serve la certezza e la calma che solo la fiducia può dare. Rivolto ad una platea, presunta adulta, Paolini chiede ad una generazione di ristabilire l’ordine delle cose, di tornare a dare fiducia ai seienni di oggi e non una vuota speranza che cela timore.

E per il futuro di Numero Primo è solo l’inzio.

Flaminia Vannozzi per RadioEco
Foto di Andrea Spinelli

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