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Saltinaria.it – Ballata di uomini e cani, Teatro Argentina (Roma)

Dal 21 gennaio al 2 febbraio, sul palcoscenico del Teatro Argentina di Roma, Marco Paolini attraversa i terreni avventurosi dello scrittore statunitense Jack London, muovendosi tra i suoi racconti come in un paesaggio selvaggio, dove la natura estranea e ostile obbliga a lottare per la sopravvivenza e svelare il senso della propria solitudine.

"Ballata di uomini e cani" è un tributo alla narrazione orale, a Jack London, all’avventura, all’amicizia, alla vita senza rete, libera, lontana dalle gabbie sociali che invece, a poco a poco, ci corrodono l’anima. Partendo da alcune storie del grande, inesplorato ed ostile Nord, lo spettacolo racconta le avventure nei boschi, nei rifugi di montagna, sui ghiacciai. Si aggiunge, a poco a poco, la musica, come eco della voce del narratore.

Facendosi largo fra i bidoni, l’anima di Jack London, sorretta da vesti di cacciatore d’oro, si impossessa del corpo di Marco Paolini ed inizia ad esplorare la miniera del teatro Argentina. Lo sostengono, in tale impresa, la sua accolita di musicanti. Si sporge, si schernisce dietro una fisarmonica, sotto un clarinetto, ai bordi di una chitarra.

La ricerca dell’oro, soprattutto nei ghiacci del Klondike, era dura e impossibile da sostenere senza amici fidati. Niente di meglio, dunque, di un solido ed affettuoso cane. Ma ogni padrone avrà il cane che merita. Macchia è quel che riflettono i due scalcinati avventurieri che partono dall’Italia, senza arte nè parte. Già perché i cani da slitta bisogna saperli scegliere. Arriva Macchia invece, pigro, furbo, ruffiano e vanesio. Ingestibile, invendibile, sa quando sparire e quando riapparire, maledizione dei suoi padroni, li spolpa delle loro poche risorse e li ipnotizza con i suoi occhioni.

Il francese Le Claire riconosce in Bastardo il conflitto con se stesso. Un sodalizio a precipizio. Si sospettano, si aggrediscono, si feriscono a morte, si salvano a vicenda per essere la causa unica della reciproca morte. La sopravvivenza nelle nevi era pratica nota e ben praticata dai lupi; se bisogna sacrificare la propria libertà per affidarsi ad un padrone imbranato e dalle scelte inconcepibili, meglio lasciarlo congelare nelle proprie false certezze e poi allontanarsi, seppur melanconicamente.

Marco Paolini accantona il suo celebrato e necessario teatro civile per concedersi un atto di libertà e di piacere, un viaggio leggero ed avventuroso fra personaggi letterari e foschi che riempiono le leggende del giovane zio Paperone. Lo fa accompagnato dalle musiche di Lorenzo Monguzzi, Angelo Baselli e Gianluca Casadei, parti integranti della narrazione con composizioni originali che sottolineano la voce di Paolini e le atmosfere da lui evocate.

Nel finale, due bellissimi omaggi tramite la voce e la chitarra di Lorenzo Monguzzi. Il primo ad un ragazzo afgano errante, un fuoco d’artificio esploso troppo in silenzio, dal cui diario è stata estrapolata ed eseguita una preziosa ballata. L’altro, al grande Carlo Mazzacurati, l’artista ma soprattutto l’amico appena scomparso a cui Paolini dedica, con sentita ed umana commozione, un'intensa “Hallelujah” di Leonard Cohen.

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