Nella versione originale fanno 12.110 esametri: versi, o righe di testo, scritte per altro secondo regole ben precise, raccolti in 24 libri, o gran capitoli, diremmo oggi. In cifre, questa è l'Odissea. Un testo a suo modo sacro: fonda alcuni elementi comuni su cui abbiamo costruito parte della nostra dispensa immateriale di risorse.
Potremmo anche tirare in ballo i valori, ma basterebbe forse dire "riferimenti", punti cardinali familiari in base ai quali orientarci. Banalmente, la cosa si traduce in questi termini: Chi non vorrebbe essere Ulisse? Chi non prova ammirazione per lui? Ma qui si apre la questione. Perché, crediamo, su questo punto l'autore Omero, o il misterioso equivalente di un collettivo Wu Ming cui viene attribuita l'opera, dissentirebbe. Per lui le cose non stanno esattamente così. Ulisse, per lui, è un bel problema: con tutto quel multiforme ingegno versatile di cui per antonomasia dispone, è anche il re dei bugiardi. Con tutto il fascinoso potere della sua loquela, è anche un macchinatore astuto di stragi. Con tutta la sofferenza che ha patito, non si tira indietro nella vendetta più sanguinaria. E allora: chi è, dei due possibili, Ulisse? Questo magnifico dilemma, questa perdurante tensione è la protagonista di "Nel tempo degli dei - Il calzolaio di Ulisse", lo spettacolo nato e allevato per altro proprio qui a Bolzano con l'aiuto del TSB lo scorso anno ed ora ritornato a casa con una messa in scena potente, sonora, e persino sensuale. Due ore filate di viaggio in un cosmo antico e del tutto contemporaneo. Il vecchio Odisseo si racconta con parole nuove a noi che lo ascoltiamo per la prima volta così: ci è molto vicino, forse perché reduce, forse perché convalescente dalla gloria, perché ne ha viste tante e non ha prosopopea. Deve sbarcare il lunario, ora che è, di nuovo, lontano dalla sua Itaca riconquistata e il giorno dopo già perduta: mercanteggia racconti per capretti, ovvero per mangiare. Ripesca la luce che viene dalle parole desuete, e ridona vita inaspettata all'antico racconto del mito. E nella sua narrazione, nel suo raccontare il diario delle proprie peripezie il mito torna ad essere un storia sensata, presente anche a noi, navigatori della rete, che ne conosciamo la trama da wikipedia ma non teniamo insieme le relazioni tra gli episodi. C'è una porta molto stretta per entrare senza commettere sacrilegio nel tempio dei poemi omerici. Non è facile trovarla, perché per paradosso ne esistono moltissime, che propongono, come negli itinerari turistici, percorsi collaudati. In questo caso Marco Paolini, che potrebbe in effetti essere davvero coetaneo dell'Ulisse calzolaio che interpreta, questa rara porta l'ha trovata, insieme con la sua compatta compagnia talentuosa, le voci acrobatiche, la musica avvolgente, i giochi di veli che fanno tutta la scena. Me lo immagino che da umile calzolaio si sia prima infilato con attenzione, e rispetto, in quel varco, e si sia messo ad ascoltare. A lungo. Prendendo appunti. Facendo memoria di quelle storie, come se accadessero a lui, oggi. Sì, anche Polifemo. Anche la meravigliosa Calipso, la virginea Nausicaa, l'orrendo Antinoo. Poi ne è uscito. Ma non ha dimenticato il mondo che continuava il suo viaggio, nel frattempo, fuori da quel recinto sacro. E ha saputo fare la spola, tra i due mondi, sul suo personalissimo telaio: ne ha filato un tessuto di lana grossa, che ci ha posato sulle spalle, e noi d'un tratto avvertiamo viva la ruvidità della vita sulla nostra pelle. È la stessa lana che indossa il calzolaio di Ulisse. Ricorda quando Ulisse ha rifiutato l'offerta di farsi dio: ha scelto la vita, ovvero la mortalità, che è la sfida più bella che gli potesse capitare. Se mai Omero fosse stato in sala, ieri sera, ad ascoltare, lui cieco, credo si sarà sorpreso ancora una volta della forza della sua storia.
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