Fino al 18 aprile, Marco Paolini è sul palco del Piccolo Teatro Strehler di Milano, con lo spettacolo Nel tempo degli dèi. Il calzolaio di Ulisse, di cui è anche autore insieme a Francesco Niccolini.
Un lavoro particolare rispetto ai monologhi di denuncia civile o ai racconti con accompagnamento musicale a cui Paolini ci ha abituato. Qui l’opera diventa corale, con musicisti ad accompagnare la narrazione che vengono anche chiamati a indossare i panni dei diversi personaggi, umani e dèi, e a recitarne i ruoli, con risultati interessanti.
L’Ulisse di Paolini è umano, un dolente personaggio che affronta la fatica degli anni e del passato. Non è più l’eroe tentato e amato, dall’intelligenza affilata che usa per affrontare le avversità, insieme alla violenza delle armi, per compiacere il volere degli dèi. È il calzolaio di Ulisse, che cammina con un pesante remo sulle spalle, gravato dalla nostalgia e dagli anni, abbandonato da quegli dèi che ha rifiutato, e che vorrebbe negare sé stesso e quello che è stato. Solo l’incalzare delle domande e le profferte di un giovane capraio gli faranno rivelare la sua identità lasciando spazio ai ricordi.
È un Ulisse di cui si mostrano i limiti umani e i travagli nel suo viaggio di ritorno a un’Itaca che considererà invasa e dove si farà riconoscere da Penelope, condannandosi però a un errare senza fine, compiendo la strage dei centootto giovani Proci e delle dodici ancelle che a loro si erano accompagnate, incorrendo nel biasimo degli dèi e dei suoi affetti più cari.
Quasi specchio di una civiltà occidentale, che mutua e giustifica la sua essenza in un volere divino, tutto è destinato a crollare e naufragare e l’approdo è cosparso dai teli cerati dorati con cui vengono accolti gli odierni migranti salvati dalle onde.
La recitazione di Marco Paolini é incisiva e coinvolgente, la drammaturgia rimane forse troppo attinente al testo originario, con qualche strizzatina d’occhio a elementi che sembrano strumentali allo strappare un sorriso, se non una risata, ma il risultato é uno spettacolo di indubbio valore, che la sapiente regia di Gabriele Vacis riesce a tenere a livelli e ritmi mai scontati e banali.
Importante il ruolo dei musicisti: Lorenzo Monguzzi, che si è già avuto modo di ammirare in precedenti spettacoli di Paolini, oltre a suonare e a cantare interpreta Femio; la bravissima Saba Anglana, a cui viene affidato il bis canoro, è Elena, Circe, Calipso, Nausicaa e Penelope; la violinista Elisabetta Bosio è Atena; il giovanissimo Vittorio Cerroni (classe 2002), che mostra poliedriche capacità musicali e recitative e una presenza scenica da non sottovalutare, interpreta il capraio che si svelerà essere il dio Hermes, mentre il ruolo di Telemaco è affidato a Elia Tapognani.
“II tessuto musicale dello spettacolo intreccia echi classici, composizioni originali scritte da Lorenzo Monguzzi, sonorità etniche che provengono dal repertorio di Saba Anglana…anche brani d’autore come It’s Five O’clock degli Aphrodite’s Child” (dal libretto di sala).
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