«Dovrai partire Ulisse. E andare, andare, allontanandoti dal mare finché qualcuno non ti chiederà: 'Straniero, cos'è quel legno che porti sulle spalle?'»
Marco Paolini ritorna in teatro con un personaggio che 'rincorre da tempo. Già nel 2003, davanti alla nave-teatro di Arnaldo Pomodoro, nel sito archeologico di Carsulae, l'attore bellunese presentò per la prima volta U. Piccola Odissea tascabile, un racconto breve con le improvvisazioni musicali di Giorgio Gaslini e Uri Caine (una produzione del Terni Jazz Festival). Quella piccola Odissea, recitata in solitaria, cresciuta fino a diventare uno spettacolo a più mani e a più voci, prodotto dal Piccolo di Milano, scritto insieme a Francesco Niccolini e diretto da Gabriele Vacis, con musiche originali di Lorenzo Monguzzi e la partecipazione di una decina di interpreti.
É un Ulisse invecchiato quello che va in scena ora, un Ulisse che si rimette in viaggio perché questo deve fare: partire e andare, di nuovo e ancora, sempre lontano da casa e sempre con una casa da ritrovare. Nella rilettura di Paolini l'eroe omerico non lascia solo patria e famiglia. Affrontando il prezzo della scelta, egli abbandona soprattutto gli dei, ribellandosi ai loro capricci e al loro volerlo immortale e per sempre trionfante all'indomani della vendetta sui Proci; eroe positivo nonostante l'atroce strage perpetrata. Questo nuovo Ulisse rinuncia dunque alla facile assoluzione divina e si rimette in viaggio con un remo in spalla, accompagnato dal figlio Telemaco.
Il calzolaio di Ulisse non è un ripasso dell'epica che abbiamo studiato a scuola, ma uno spettacolo dichiaratamente politico. L'assunto di Paolini è che "restare umani" possa sembrare uno slogan troppo semplice e riduttivo in un'epoca in cui diventare semi-dei - sconfiggendo ad esempio malattie e vivendo sempre più a lungo - appare un traguardo raggiungibile.
Omero immaginava il suo eroe-viandante agire in tempi in cui Zeus e Atena, dall'alto dell'Olimpo, scombinavano le carte in tavola agli uomini; oggi sono déi di tutt'altro tipo a decidere delle vite di coloro che si mettono in viaggio. Siamo noi a decidere; é l'Occidente, proprio quell'Occidente figlio dell'Odisseo. E perché dunque non chiedere ad Ulisse, come ad un padre saggio, di mostrarci un'altra strada, di spiegarci come agire da eroi oggi, rinunciando a facili auto-assoluzioni e rimettendo in discussione anche ciò che sembra imposto dall'alto e immutabile? Perché non chiederlo a uno che - come dice Paolini - «di dei se ne intende e davanti alle sirene dell'immortalità sa trovare le ragioni per resistere»?
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