Sessanta anni fa la tragedia che portò alla morte di 1917 persone tra Erto, Casso e la valle del Piave, in particolare a Longarone. Trenta anni dopo proprio lo spettacolo che rese conosciuta a milioni di italiani quella frana. Oggi come si può continuare a tramandare la memoria di quei fatti?
Rievocare il Vajont oggi è anche un monito sul cambiamento climatico a cui stiamo assistendo?


Rievocare non basta, trent’anni fa forse serviva ancora, oggi non possiamo affidarci alla “massima hystoria magistra vitae“. Raccontare oggi una storia come quella del Vajont rappresenta una sfida, va attualizzata o si può lasciare com’era confidando nel valore universale della tragedia?

Ho ripreso il racconto dieci mesi fa e facendolo ho trovato una risposta. Trent’anni fa quella storia serviva a riparare ad un torto collettivo che rimuoveva le colpe e associava il Vajont a catastrofe naturale, un torto radicato nella memoria collettiva. Oggi le cose sono cambiate e, a parte pochi irriducibili negazionisti, l’idea comune del Vajont è quella di un disastro provocato, un disastro industriale.

Per me oggi raccontarlo ancora significa mettere l’accento sugli errori più che sulle colpe, sui segnali inascoltati, sulla sottovalutazione dei rischi. Chi ascolta il racconto oggi non pensa alle vittime di sessant’anni fa, ma ai rischi connessi al cambiamento climatico e alla fragilità del nostro territorio. Questa storia parla di noi, di oggi, non serve attualizzarla né enfatizzarla. Se fosse possibile dovrebbe essere fatta come il prologo obbligatorio di ogni assemblea decisionale sul nostro futuro e poi, dopo il racconto del Vajont per un po’ sarebbe più difficile per chiunque aprire bocca senza collegare tra loro cuore e cervello… ma solo per un po’, poi l’effetto si dissolve.

Ai tempi dei social che raccontano e divorano tutto in tempo reale, il teatro e la letteratura che funzione ricoprono o dovrebbero ricoprire?

Il 9 ottobre prossimo in più di 100 teatri (molti di più in realtà) in contemporanea centinaia di artisti e cittadini comuni parteciperanno ad una lettura corale dal titolo VajontS 23. La base comune di partenza sarà il testo del ‘97 del racconto del Vajont, ma diviso organizzato come partitura a più voci. Quasi tutte le regioni d’Italia saranno rappresentate.

Per realizzare il progetto abbiamo costruito una rete di scopo che mette insieme categorie e artisti di ogni livello del mondo dello spettacolo. La risposta ha superato ogni attesa.

Quale sarà la funzione del teatro nella grande partita della transizione ecologica?
Quale ruolo potrà avere nel costruire cittadinanza e accesso?
Non lo so, ma senza prove non si fa teatro, senza ricerca non si trova, senza rete nessuno può fare molto.
Il 9 ottobre di quest’anno VajontS 23 per noi non sarà un evento, un punto di arrivo, ma un inizio di qualcosa che finora non si era nemmeno immaginato.


A Certaldo riceverà il premio Boccaccio per l’Etica della comunicazione. Per lei quando la comunicazione perde la sua etica?

Etica è una parola che non esiste in dialetto, diceva Meneghello, una parola difficile da spiegare che solo i professori o le categorie professionali usano, una parola più facile da scrivere e leggere, che dire senza sentire odore di retorica.
L’etica non è un parafulmine, non genera lo stesso entusiasmo di altre sue sorelle, etica fa quasi rima con predica, la comunicazione che predica non rende giustizia all’etica.

L’unica etica che conta non è quella ideale ma quella efficace.

Apriamo pure il dibattito…

Certaldo, lì 12 Settembre 2023